sabato 9 gennaio 2016

David Bowie ★

We bitches tear our magazines
Those Oligarchs with foaming mouths phone






il primo incontro con la musica di DB data 1977 (o 78), il disco era il 45 giri di heroes, versione tagliata quindi.Il retro V2 Schneider era un omaggio a Florian dei Kraftwerk. Me lo disse l'amico fraterno Daniele che suo fratello sapeva tutto ed era più grande. La prof di musica ci invitò a portare un disco in classe per ascoltarlo: portai il 45 giri tutto entusiasta, un altro ragazzetto portò Le Freak degli Chic. Si scatenò l'apocalisse. Pensare che pochi anni dopo Bowie e Rodgers si ritrovarono insieme su Let's dance che fece storcere il naso ai puristi ma era un gran disco perchè Rodgers ed Edwards ( purtroppo prematuramente scomparso) sono due grandi musicisti. Parola di Robert Wyatt ( ascoltare la sua versione di At last I'm free).


penso a queste cosette mentre, dopo aver acquistato ★ mi avvio in libreria per prendere Viola Giramondo, Descender e Come lo feci.
Una vita che mi accompagna il signor Jones, gli voglio molto bene. Arrivato a casa faccio girare il cd.
Alla fine mi ritrovo con la lacrimuccia tutto contento
Un gran disco, dove c'è dentro tanto, quasi tutto Bowie. Molto distante dai precedenti lavori da " classic Bowie style" che pure lo avevano riportato su buoni livelli qualitativi (Reality a parte).
la carriera di Bowie è andata in crescendo anticipando sempre e comunque stili mode e quant'altro fino all'inizio degli ottanta, sempre diverso, sempre fottendosene di compiacere, sempre a provare sperimentare,
toccando il vertice con la trilogia berlinese e tenendo molto bene con Scary Monsters e Let's dance.
toccato il fondo con Tonight e Never let me down, riprende quota nei 90 con Tin Machine e White tie black noise, disco jazzy dove compariva in tre brani Lester Bowie.
L'ultimo sussulto di genialità ce lo regalò Outside con l'amico Eno a tessere un concept di tutto rispetto.
 ★ ci riporta decisamente su quei livelli, un disco spesso, eclettico, spiazzante, obliquo. Assoldata la band del jazzista newyorkese McCaslin, che assicura versatilità cuore e ritmo da vendere, Bowie cuce un lavoro denso di citazioni e rimandi che sottende una ricerca e un lavoro complesso e profondo. Due brani i cui testi rimandono al drammaturgo John Ford


 ci ricordano che Bowie comincia come teatrante allla corte di Lindsay Kemp e continua con Baal ed Elephant man, cose che dispenserà nei moltissimi videoclip e nel seminale The man who fell on earth di Nicholas Roeg, fino all'ultimo video Lazarus. Girl loves me cita il Nasdat di Burgess e lo slang gay londinese dei 70. la "ricerca" si diceva. Spesso ho sentito parlare di una supposta "leggerezza" del Bowie scrittore, messo in competizione con Dylan o Reed. Semplicemente Bowie narra per immagini, è cosa diversa. In questo disco spesso disperato e apocalittico ( lo è sempre stato Jones, dai tempi di Five Years) l'attualità è prepotente. Is, il dramma dei migranti, la solitudine, il "greed", la schizofrenia (del fratello) e la massificazione culturale cui Bowie periodicamente ritorna (e che erano il tema portante di Jump the say). C'è tutto, basta saperlo cercare. Come per Where are we now? torna a Berlino e al suo periodo creativo più smagliante  (tanto da dedicargli una cover a 34 anni di distanza) in I Can't Give Everything Away con l'intro di A new career in a new town e citazioni letterarie di Blackout. Ballata struggente che strappa la lacrimuccia di cui sopra.








 Grazie Mr Jones e grazie a David Bowie ancora e ancora e ancora...